gen 29, 2016 - Notizie    8 Comments

Simulacri del Sol Levante

In un’altra sede ho parlato dei burattini del Teatro Nipponico facendo cenno alla cultura della rappresentazione virtuale delle forme viventi. Questa forma di idealizzazione si sviluppa anche nei confronti persino del cibo. Questa forma d’arte prende il nome di sampuru ( サンプル). Il sampuru deriva, come molte parole in katakana, dall’Inglese sample e significa essenzialmente “campione di esempio” o una forma di dimostrazione in formato virtuale ergo “non reale” il più possibile però “realistico”.

In Giappone l’arte di rappresentare il cibo fu il frutto di un’altra “imitazione”. Il Giappone prese ( e tuttora prende e in certi casi invidia ) molto dell’Occidente con la capacità tuttavia di ricreare e migliorare l’artefatto straniero dagli archibugi ai treni.

Infatti le imitazioni ed esposizioni di finti cibi divenne subito tendenza una volta che i giapponesi avevano preso confidenza ed apprezzamento per la cucina europea. La fotografia occidentale aveva suscitato un impatto notevole per un popolo fortemente sensibile al simbolismo. I piatti venivano fotografati, un pò come oggi in molti ristoranti nel mondo ma un giapponese fece un salto di qualità rivoluzionario promuovendo appunto la forma d’arte del sampuru.
L’inventore era Takizo Iwasaki che, ispirandosi alle rappresentazioni anatomiche note per l’estrema verosomiglianza, propose la rappresentazione a base di cera come alternativa alla fotografia.
Il successo fu quasi immediato e ancora oggi elemento più caratteristico dei luoghi di ristoro giapponesi di ogni tipo.

Questo successo è spiegabile con la combinazione della sensibilità mono no aware ( 物の哀れ) sull’estetica degli oggetti inanimati e la credenza shintoista della capacità degli artefatti di assumere un intrinseca “vitalità” e un posto nel mondo, come gli oggetti sacri shintai negli altari e luoghi sacri e persino in alcune spade ( le famose katane Muramasa ).

Questa forma di “culto” per l’artefatto è continuamente presente in molte manifestazioni dell’universo giapponese dall’incartamento e attenzione alla confezione stessa sino alla collezione in ogni sua forma.
Il collezionismo è una passione seria in Giappone che ospita una varietà eccezionale di raccolte private e pubbliche effettuate con una meticolosità sconosciuta all’Occidente. I giapponesi sono spinti a fare ricerche al limite del parossismo per realizzare collezioni quanto più possibile complete in nome del Kanzen Shugi ( 完全主義 ) che significa difatti “perfezionismo”.

La perfezione è considerato “lo stato naturale” dell’ordine sociale degli uomini che per vivere insieme devono appunto sottostare ad un codice prestabilito e condiviso. La bellezza infatti ha l’aggettivo Kirei ( きれい) che significa anche “pulito” e la pulizia è un atto umano continuo e rituale appunto per mantenere costante l’ordine che può precipitare nel caos quale è lo “sporco” che è anche simbolicamente “nero” ( kuroi – くろい) e opposto alla purezza.
Dunque l’estrema ritualità è implicita, dalla disposizione dei fiori alle moderne action figures, una delle forme di passione della cultura popolare giovanile.
Il collezionismo delle bambole ha un altra origine e spiegazione altrettanto profonda nella cultura nipponica. Le bambole in Giappone hanno origine antichissima e conservano quella simbologia sacra e simbolica che si è persa in Occidente. L’artefatto di forma umana femminile è una delle prime forme di espressione dell’Uomo e immediatamente oggetto di culto poiché la figura femminile era istintuale anelito alla difesa e sopravvivenza della specie ( fertilità, protezione, continuità ).

Il culto degli artefatti femminili in molte aree del mondo si è gradualmente fatto sostituire da rappresentazioni maschili in virtù della stabilizzazione delle comunità e l’urgenza della guerra per garantire la crescita e lo sviluppo delle prime forme di organizzazione sociale su grande scala.

Questo aspetto di “virilizzazione” della rappresentazione antropomorfica sacra solo in parte si è stabilito invece nell’arcipelago nipponico. Il popolo giapponese, dall’origine non del tutto nota, non ha conosciuto le grandi invasioni indoeuropee. I primi giapponesi erano un peculiare popolo di pescatori ed artigiani che non hanno sentito per moltissimo tempo il bisogno di città e produzione di massa che il territorio giapponese non consentiva nelle dimensioni altrimenti concesse alle comunità stanziate nei continenti.

La tardiva evoluzione urbana e la persistenza della tribù come nucleo fondamentale garantiva il mantenimento del culto matriarcale e femminile integrato con altrettanto antico animismo e i rituali magici delle origini dell’Homo Sapiens.
Le rappresentazioni femminili artefatte nella cultura giapponese prendono il nome di Ningyou ( 人形 ) e fin dai primissimi tempi erano dotati di uno spirito Kami ( 神 ) che poteva essere benevola o anche maligna.
Le bambole possono contenere il “soffio vitale” dei proprietari morti ( nagare 流れ ) e dunque non sono semplici “giocattoli” ma forme di contatto con il soprannaturale ( una cosa simile in Occidente è conservata nel culto dei morti nella fotografia e statue commemorative ) . Inoltre la bambola è il simbolo dell’età della donna prima di entrare nell’agone della società e la stessa bambina in epoche passate era trattata e vestita in un modo speciale in famiglie di alto rango sociale talvolta anche per rituali tramandati all’interno dei nuclei famigliari ( le Hako Iri Musume 箱入り娘). In Giappone esistono storie e leggende metropolitane di bambine vestite come bambole tradizionali Ichimatsu ( 市松人形 ) che hanno contribuito allo sviluppo della cultura horror nipponica dei nostri giorni.

Le bambole rivestono funzione purificatrice anche nella ben nota festività Hina Matsuri ( 雛祭り) dove le famiglie più tradizionali, ogni 3 marzo, allestiscono una speciale piattaforma per particolari bambole espressamente realizzate per il rituale che deriva da un’antichissima forma di esorcismo a scopo di buon auspicio per le figlie e nipoti non sposate.

In questo sfondo di simbolismo e rituali magici, la rappresentazione artistica della persona umana,l’indole collezionistica, e la sistematicità rituale spiegano il carattere speciale delle odierne action figures oggetto di “feticismo” della cultura popolare giovanile. Le bambole che rappresentano personaggi di anime o manga evocano valori di perfezione fisica ed ideologica “ideale” in contrasto con il “reale” che espressamente in Giappone è parte di questione sociale e culturale complessa in atto da parte delle più giovani generazioni insofferenti alla rigidità dei ruoli e regole sociali dell’età Heisei ( 平成 Giappone post 1989 ) . Le figure femminili rappresentano in vario grado mescolanza di attrazione erotica, purezza dell’eroina e allegria infantile che sono l’archetipo nostalgico della donna Kanai ( 家内 ) con le virtù della donna eroina Onna Bushi ( 女武士 ) e la purezza ideale della sorella minore ( Imouto 妹 ) , la componente di famiglia del quale il proprietario assume implicitamente il ruolo di fratello maggiore così come dovrebbe essere nell’ideale sistema dei ruoli fra uomo e donna Danjyo Kankei ( 男女関係 ) .
Per certi aspetti le “bambole” dal finissimo dettaglio e qualità sono ancora le inquietanti Ichimatsu del passato in una nuova funzione di guardiani simbolici di fronte ad un Giappone che inizia a provare paura ( paura : timore per qualcosa che non si conosce ) non per l’orrido demone Oni ( 鬼 ) ma per un imperscrutabile orizzonte.

Un futuro dove certezze si perdono e anche la stessa continuità genetica ( calo demografico , basso tasso di natalità, invecchiamento ) è minacciata mentre si ricerca la libertà individuale dalle regole sociali con l’idealizzazione dell’anarchia eroica dei ronin e con l’estasi dei fedeli per la Bellezza senza compromessi. Difatti in casi più estremi di idealizzazione esiste in chiave moderna l’antichissima forma di matrimonio con il divino che era l’Irui Kon ( 衣類 婚 “matrimonio umano – divino : gli uomini si innamoravano della purezza delle donne che erano trasfigurazioni di entità soprannaturali di forma animale ) poiché è legale il matrimonio, nella legislazione nipponica, con un personaggio non esistente ( dunque soprannaturale ma “umano” nella forma ) come atto supremo di devozione e difesa dal male del mondo.

GABRIELE SUMA

8 Comments

  • finalmente si parla di cibo, i giapponesi sono dei veri artisti in questo campo. Saggio interessante come sempre.

  • Articolo molto interessante e ben strutturato, preciso e dettagliato, con profonde e pertinenti riflessioni su diversi aspetti della cultura nipponica, sempre così particolare e piena di fascino. Una lettura davvero piacevolissima!

  • grazie per i commenti :)

  • interessante è di piacevole lettura.E’ azzeccata l’osservazione della prevalenza del matriarcato nelle piccole comunità’ di tipo tribale e del patriarcato religioso nelle grandi comunità’ dove e’ necessario un ruolo guerriero.

  • mi affascina quanto scrivi su un mondo e una cultura tanto diversa dalla nostra. riesco ora a vedere con altri occhi le bambole dei personaggi dei manga che mi capitava guardare .Complimenti

    • grazie per i complimenti, scriverò ancora sull’affascinante Giappone !

  • Complimenti: molti spunti di riflessione sui simulacri di questa lontana e antica cultura. Simulacri che, come hai ben rappresentato, sono ancora vivi oggi in forme “attuali”, spesso frettolosamente banalizzate perché non comprese da noi occidentali.
    Alla fine è sempre così, non bisogna fermarsi alle apparenze, bisogna approfondire e capire, soprattutto ciò che sentiamo lontano (alieno) in prima battuta.
    E mi vene da pensare che, in fondo, forse non siamo nemmeno così lontani: anche nella mitologia e cultura pagana dell’occidente erano presenti relazioni assimilabili all’Iruikon

    • non bisogna mai smettere di sognare ed arricchire l’esistenza con i Miti.

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