dic 10, 2021 - Notizie    4 Comments

Il Feditore

Quando Dante stava crescendo, la penisola era attraversata da eserciti e da carovane di fede e di mercanzie in una misura mai vista appena un secolo prima dopo il rapido disfacimento di grandi entità politiche capaci di tener freno alle ambizioni di potenze locali spesso poi in lotta anche fra loro a danno delle popolazioni soggette.

In particolare, quando il Sommo Poeta divenne già uomo a 17 anni nel 1282, in Sicilia si stava consumando il dramma dei Vespri Siciliani.

Tale episodio pose fine al dominio degli Angiò aprendo la strada all’ingresso degli aragonesi in una area finora appannaggio di altri invasori stranieri ormai scomparsi, dai bizantini agli arabi ai normanni passando per gli svevi spodestati proprio da coloro che stavano per essere scacciati in seguito ad una rivolta di grandi proporzioni anche per l’epoca.

Una lotta che si sarebbe conclusa anni dopo nel 1302 quando il Nostro aveva attraversato già la metà della vita.

Nel Nord stava assumendo importanza sempre crescente Milano che era stata sottratta agli angioini con l’arcivescovato spregiudicato di Ottone Visconti il fondatore della lunga dinastia che avrebbe governato non solo la città ma vaste terre d’Italia nel corso degli anni.

Negli anni di gioventù del letterato fiorentino, Pisa e Genova si stavano ferocemente combattendo per contendersi il Tirreno fino a quando la città della Torre, ancora non diventata famosa per la sua pendenza, non era stata poi fatta uscire dalle luci della ribalta in seguito al disastro della Meloria nel 1283.

Gli avvenimenti politici occorsi a Pisa verranno poi citati da Dante anni dopo raccontando della tragedia di Ugolino della Gherardesca fatto prigioniero dai ghibellini avversi ai guelfi sostenitori degli ex padroni Angiò dagli anni ’80 in ritirata ormai da più parti dall’Italia.

e Firenze ? la piccola città cinta da mura e da montagne appenniniche era una arena in cui si guardavano con ostilità reciproca famiglie di varia estrazione sociale; antichi aristocratici, cavalieri orgogliosi ma indebitati e spregiudicati quanto arricchiti mercanti. La popolazione cittadina era riuscita a sottoporre a controllo la vecchia nobiltà feudale che perse gradualmente potere sulla città difesa da ben organizzate milizie organizzate intorno a gonfalonieri. I nobili, pur in declino, cercarono di partecipare alla vita politica trasformando le proprie residenze in fortezze. Il governo cittadino veniva esercitato da autorità del podestà e del capitano del popolo che veicolavano l’indole bellicosa dei cavalieri in campagne militari fuori dalle mura però talvolta con esiti disastrosi come la sconfitta subita a Montaperti quando l’autore della Divina Commedia ancora non era nato.

La Toscana perdipiù era oggetto di mire espansionistiche del fiero pontefice Bonifacio VIII quando una serie di circostanze fece sì che Pistoia espulse nella vicina Firenze i litigiosi parenti della famiglia Cancellieri che si divise: per che alcuni congiunti si chiamarono Bianchi, gli altri Neri; e così fu divisa tutta la città come raccontava anni dopo Dino Compagni uno storico della città del Giglio.

Il pontefice osservava attentamente gli avvenimenti nella città dove i Cancellieri si divisero in Neri e Bianchi capitanati dai Donati e dai Cerchi, gli ultimi che presero fra le fila Dante,poco prima sposato con la figlia di Manetto Donati uno dei capi della fazione avversaria.

Dante era discendente di una nobile famiglia di cavalieri con un crociato come antenato ma al tempo decaduta se pur non impoverita. Intraprese la via del letterato nel 1290 quando, per tradizione storiografica, rimase sconvolto per la morte di Beatrice di cui non sappiamo molto ma che era stata per lui molto importante. Dante è molto conosciuto per il suo fondamentale ruolo nella letteratura ma prima di essere un poeta era stato anche un cavaliere, con spada e coraggio nelle mani senza esimersi dal buttarsi nella mischia quando gli imponeva il dovere.

Va ricordato che il giovane entrò nella cerchia dei letterati grazie ad un violento, l’impetuoso Guido Cavalcanti diventato genero del fiero Farinata degli Uberti dai più oggi ricordato da la cintola in sù in una fossa infernale.

Firenze negli anni ’80 stava cercando di ritagliarsi uno spazio in Toscana capeggiando la lega guelfa contro la quale si opponevano solo Pisa ed Arezzo e Dante era entrato in scena fra le fila dell’esercito della lega, all’età di 24 anni. Va detto che la figura del Podestà era strutturata per dare ordine nelle relazioni con la milizia costituita nel suo nerbo dai milites professionisti ed aristocratici di cui Dante era parte come cavaliere feditore. I feditori erano la forza d’urto principale, in un contesto ancora allora dominato dalle cavallerie.

I milites erano temuti ma anche pure ignorati dalle autorità cittadine quando sorgevano questioni legali e patrimoniali nonostante il servizio prestato. Va detto che il milite,in passato, sosteneva a proprie spese uomini d’armi facendosi carico anche del loro equipaggiamento andando spesso incontro a debiti continui. Un aspetto peculiare di questa classe di cavalieri era pure che essi andavano in guerra senza i privilegi riconosciuti nella vita civile ergo portando con se anche servitori ed alloggiando nel decoro dovuto insieme ad amici e conoscenti come se si fosse in un viaggio di piacere.

Uno stile di vita che le autorità cittadine deploravano e ritenevano fonte di disordini per il cronico indebitamento.

I disordini venivano causati infatti dall’organizzandosi in gruppi indipendenti chiamati masnada .

L’estorsione era una pratica comune per attingere fondi per la propria sussistenza e i milites iniziarono anche a creare una rete di contatti con altri mercenari, aiutandosi a vicenda nei confronti delle autorità.

In considerazione della vivacità politica al limite dello scontro armato, le città necessitavano comunque di fornire ordine trasformando alcuni milites in berrovieri che erano vere e proprie guardie del corpo a protezione dei rappresentanti delle istituzioni comunali, sottoposti tuttavia a rigide norme e forme di controllo e sentenze anche capitali in casi di indisciplina gravi. Tuttavia il servizio era sempre a tempo determinato e si ritornava nella masnada cambiando spesso sede in giro per la Penisola. Negli anni intorno alla vicenda di Montaperti, un esempio di vita al servizio di molteplici comuni è fornito ad esempio proprio dai connazionali di Dante quali i ghibellini Scolari acerrimi nemici degli Orsini di Roma verso la fine del Duecento. Quando poi mancavano datori di lavoro i masnadieri si sbandavano e diventavano fuorilegge commettendo rapine ed omicidi ai margini della comunità cittadina però conservando il titolo sociale di miles per il mantenimento del cavallo e delle armi, praticamente cavalieri avventurieri, non semplici briganti.

Da notare che insieme a questi cavalieri in bancarotta, si aggregavano non solo banditi in cerca di bottino ma anche donne che li accompagnavano in abiti maschili, come documentato da archivi giudiziari.

Le città, quando arrivava il momento, chiamava alla raccolta tutte le forze disponibili per mettere su l’exercitus ( di origine bizantina ) per uno scontro risolutore ma il più delle volte si optava per incursioni stagionali ( cavalcata ) nel territorio nemico, anche per prelevare prigionieri per i riscatti, fonte di guadagno per i partecipanti delle spedizioni lampo. Il bottino in seguito alle battaglie poteva anche essere ingente, talvolta anche spettacolare come il bottino conquistato dai vincitori senesi a Montaperti, quanto poteva bastare per sostenere per settimane l’intero esercito da solo. Oltre a denaro,armi e vettovaglie, la preda preferita dei milites erano i boves e jumenta, cioè bestiame di grande valore economico, oggetto spesso di iniziative comunali a tutela degli allevatori e delle mandrie lasciandoci in merito copiosa documentazione.

Firenze aveva a disposizione una forza militare costituita intorno al nerbo dei milites a cavallo poichè il cavallo era il requisito base per il grado sociale per combattere, insieme a loro dei fanti prelevati secondo una forma di reclutamento quartiere per quartiere ( fa venire in mente il modello “tribale” del reclutamento romano prima della riforma di Mario ) ed equipaggiati con uno scudo molto grande chiamato pavese e da qui noti come pavesati.

La forza militare costituiva appena il 2% della popolazione cittadina in buona parte dei comuni di fine Duecento, una percentuale molto bassa ma dotata degli strumenti sufficienti anche per sterminare città toccate dalla sventura per quanto ancora le grandi devastazioni che avrebbero flagellato l’Italia rinascimentale erano da venire. Il reclutamento avveniva per chiamata inviando messaggeri ai piccoli cavalieri e nobili, talvolta anche prendendo in prestito da altre autorità comunali, alleate e non in cambio di profitti preventivati, tutti rigorosamente stabiliti in veri e propri contratti cum equis et armis. I sopracitati berrovieri ad esempio venivano in buona parte dall’Emilia e dalla Lombardia al servizio e protezione dei potestà della Toscana. Nel reclutamento si aggregavano anche parenti ed amici al seguito e a spese personali dei milites.

E così rivediamo Dante, in armi, senza penna ma con spada e lancia, a cavallo insieme ai suoi di pari grado sociale,forse più ricchi, forse meno. Nel trambusto di una torma di uomini ricoperti di cuoio e ferro, in sella a cavalli adornati dei colori di famiglia senz’altro il Sommo Poeta ha provato un profondo sentimento umano: la paura.

Imbardato con i colori nero e oro di famiglia e con il giallo del suo quartiere Porta San Pietro guidato dai Cerchi, prendendo il suo posto ebbe temenza molta ed allegria grandissima nella fatidica giornata dell’11 giugno 1289 presso Campaldino quando si era trovato in mezzo agli armati di Arezzo, una delle città della lega avversaria, della quale sarà futuro cittadino uno dei biografi di Dante quale Leonardo Bruni. L’umanista aretino si occupò infatti molto di quella battaglia descrivendo con minunzia la sconfitta dei suoi quando, caricando la schiera fiorentina, vennero poi travolti senza scampo.

Lo storico mercante Giovanni Villani, precedente a Bruni, raccontava che mentre Dante e i suoi compagni erano impegnati con gli aretini, altra cavalieria del Giglio intervenne e fedì i nemici per costa, e fu gran cagione della loro rotta.

La battaglia si tramutò in una grandissima zuffa, fra la polvere e il fango sollevati dagli zoccoli quando si avventarono sui ghibellini anche altri milites della parte guelfa, però di Pistoia sotto la guida di Donati portando vittoria decisiva per Firenze.

Così strage fu di cavalieri ghibellini di Arezzo, compreso diversi capitani e personaggi importanti fra cui pure un vescovo, Guglielmino Ubertini ucciso mentre combatteva forse con la mazza visto che era formalmente vietato ai sacerdoti spargere sangue cristiano.

Quiv’era l’Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, e l’altro ch’annegò correndo in caccia.

Dante è invece di quella fatidica giornata sopravvissuto, lo immaginiamo con i segni della battaglia ma la sorte per lui ha scelto ben altro destino per quanto triste come lo è per chi è destinato a non riveder più la patria.

I versi che ci incantano ancora dopo più di settecento anni hanno potuto ora avere come patria tutta quella serva Italia, di dolore ostello e un tempo giardin de lo mperio

lontano dalla sua Florentia, senza mai più ritornarci, nemmeno da morto.

GABRIELE SUMA

4 Comments

  • Molto molto interessante!

  • E’ importante conoscere la vita, non solo le opere. Una lettura interessante come sempre riesci a rendere i tuoi scritti. Complimenti.

  • Quando si studia Dante si trascura l’età giovanile del poeta, così come si trascura la storia di città come Genova. Interessante e come sempre precisa la descrizione di Dante cavaliere armato di spada, pronto a buttarsi nella mischia. Completamente a me sconosciuta la figura del berroviere o guardia del corpo. Il finale pur sintetico è incisivo e coinvolgente.

    • grazie :) mi fa piacere, Dante appassiona anche nella sua dimensione umana

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