La Tragedia Coreana
Al carissimo amico Bepi, con cui ho condiviso lo stesso piacere della scoperta del passato, e alla Corea è dedicato questo articolo scritto nel tentativo di capire il presente con la Storia.
I recenti avvenimenti in corso in Corea possono essere l’interludio ad un prossimo grande conflitto ma anche essere la conseguenza di un passato tormentato che non sempre viene compreso in Occidente al di fuori di studi storici specializzati. La stampa internazionale,generalmente, tenta di spiegare il comportamento della Corea del Nord utilizzando l’argomento della natura ideologica e politica della dittatura militarista e in particolare la natura psicopatologica della “dinastia” Kim. Il nazionalismo fanatico unito al delirante culto di personalità sono elementi di regime comunista stalinista già riscontrati in altri paesi sorretti in modo simile nell’ex-blocco sovietico. La natura politica del sistema stalinista è il modello più completo di totalitarismo finora mai applicato nella Storia. La mancanza di ogni contropotere e la militarizzazione con conseguente gerarchizzazione piramidale della società sono conseguenze del principio del centralismo democratico formalmente ossequioso dell’organizzazione collegiale e della libertà di opinione ma irreggimentante sul piano storico in base alla dittatura della maggioranza rappresentata dal Partito che, contrariamente alla velleità di diritto di opinione, non consente esistenza di altre forme di rappresentanza indipendenti. La contraddittorietà del governo collegiale e centralizzato ha caratterizzato la vita di tutti i sistemi totalitari del XX secolo non solo di matrice comunista.
L’apparenza di un parlamento, pur meramente consultivo e di facciata per eventi solenni, serve per migliorare l’immagine del Potere soprattutto all’estero per chiari motivi opportunistici ( ricordiamo i frequenti discorsi di Hitler al Reichstag o i più rari ma altrettanto significativi congressi dei vari politburo del mondo comunista ). Infatti, nel caso specifico coreano, l’elite del governo, pur amministrando direttamente lo Stato senza alcun limite, mantiene in funzione un enorme organismo collegiale che ha comunque solo la sostanziale funzione di scenografia teatrale per annunci di decisioni già prese. Un artificio per dare la falsa idea di condivisione e democraticità soprattutto ad uso e consumo della stampa estera. Inoltre va tenuto in considerazione che in Corea del Nord l’unico organo collegiale rilevante è esterno al Partito stesso ( il cosiddetto Partito del Lavoro di Corea in hangul Choson Rodongdang ) con il nome di Joseon Minjujuui Inmin ergo Commissione di Difesa Nazionale direttamente sottoposto agli ordini del dittatore che ne presiede l’ente e rappresentante i vertici dell’Esercito e dei Servizi di Sicurezza, come avveniva tipicamente in ogni regime di tipo personalistico e sorretto dalle baionette nella Storia. L’abietto regime, pur essendo una copia del modello staliniano sovietico, si poggia su fondamenta ideologiche profondamente radicate nella cultura coreana quali il neoconfucianesimo e il neobuddhismo di Chong Tojon e Chinul emersi in un periodo critico conosciuto nella storiografia indigena come Koryo ( in maniera approssimativa coincidente con il medioevo europeo ). I neoconfuciani e i neobuddhisti avevano criticato,senza risparmio, la società ritenuta decaduta e priva di solidi punti di riferimento a causa della dominazione mongola e sviluppato un sentimento fortemente nazionalista ante litteram per il periodo considerato. Infatti l’élite intellettuale indigena stava cercando di delineare una forma di “coreanità” legata ad uno specifico territorio e all’identità culturale in netto contrasto con ogni forma culturale importata da fuori compreso quella della Cina stessa. L’ideologia della Juche che anima e governa attualmente il regime nordcoreano ha radici lontane proprio in questa amalgama di ossessioni e convinzioni frutto della paura di perdita di identità etnica e culturale di un popolo indurito dalle origini siberiane e dalle continue lotte anche intestine. Il principio morale-filosofico che guida gli uomini, secondo la più diffusa convinzione della filosofia ed ideologia coreana, è lo spirito della volontà individuale al di sopra dell’ordine naturale. La forza di volontà umana diventa la forza creatrice della Natura stessa rifiutando l’esistenza di un equilibrio soprannaturale al di sopra dell’Uomo. Forte volontarismo unito alla mistica dell’amore filiale, dell’obbedienza al sovrano e della “koreanità” pura venutasi a determinarsi sotto il regno leggendario del padre fondatore Re Kija. Lo schema ideologico è in parte legato alle tradizioni imperiali cinesi a riguardo della struttura sociale ed amministrativa rafforzando però il carattere insito di “ingegneria sociale” promossa dalla Élite intellettuale a cui è stata assegnato il ruolo di consigliare ed assistere il Sovrano come un Padre di Famiglia nel proteggere e guidare il Popolo. Il nazionalismo coreano è, in sintesi, la somma di tre elementi cardinali che caratterizzano le dinamiche sociali della società coreana ancora oggi in diverso grado in entrambi i due paesi della penisola divisa quali Chung ( devozione filiale ) , Hyo ( lealtà ) , Ye ( rispetto ). Il sentimento di patria si ancora, come in Giappone e in Cina, su una fondazione stabilita da una divinità ( Dangun ) che legittima e sacralizza il principio monarchico come primario elemento unificante della società. Il regime nordcoreano ha riutilizzato lo strumento del mito per creare un culto religioso nei confronti della Dinastia Kim come si evince in numerosi “aneddoti” sui dittatori descritti come figure al limite del sopranaturale. Lo stile propagandistico nordcoreano ha radici nella propaganda sostenuta dal primo vero autocrate coreano quale era il Re Suyang ( o più comunemente Seyo ) . Il Re Seyo, che ha governato la Corea nella prima metà del XV secolo, era salito al potere attraverso un autentico bagno di sangue e il suo regno fu caratterizzato da altrettante crudeli misure contro oppositori. Un regime spietato che ha prodotto materiale letterario di recupero, appunto, di antichi miti per rafforzare l’istituto monarchico scosso dai contrasti interni e dalla dubbia legittimità del sovrano seduto sul trono conquistato con il sangue. L’invasione giapponese, più di un secolo dopo, fu un autentico trauma per il popolo coreano e ha segnato il definitivo rifiuto nei confronti del mondo esterno in misura ancora più rigida di quanto si è visto in Giappone e in Cina. Il culto nei confronti della Corona e l’ostilità nei confronti dello straniero hanno acquisito una particolare dimensione di fanatismo in considerazione della convinzione che una società divisa e gli individualismi abbiano esposto il popolo a tragedie e a dominazioni straniere. Le invasioni furono di fatto continue dal XVI al XX secolo e la Cina e il Giappone hanno tentato di distruggere l’identità culturale in varia misura esasperando di fatto la “coreanità” al limite di autentica paranoia. L’ossessione della coreanità pura avrebbe raggiunto livelli di autentico razzismo soprattutto in seguito alla terribile esperienza subita dall’occupazione giapponese nel XX secolo. I coreani, di fatto, sono stati esclusi dal mondo esterno se non avvenivano traumatiche esperienze di genocidio culturale per secoli mentre la Cina e il Giappone, in diverse situazioni, hanno accettato il mondo esterno ed assorbito i traumi e gli shock culturali in qualche maniera possibile. Difatti il concetto Paese Eremita, comunemente utilizzato per definire la Corea del Nord, è un termine inventato nel 1882 da W.E.Griffis proprio quando la Corea stava per subire la sua più grande tragedia della sua Storia ( la dominazione giapponese ). Il popolo coreano, anticamente aperto agli stranieri, subì dal XIX secolo in poi angherie di ogni genere dagli stranieri anche per la fede religiosa. Difatti i cristiani divennero oggetto di periodiche persecuzioni ( tuttora in atto in Corea del Nord ) per la considerazione che fossero, a torto e a ragione, agenti di potenze straniere sopratutto della Francia cattolica e della Russia Ortodossa del XIX secolo. Dopo il Re Sejo, a rappresentare il sentimento nazionale, ci fu Yi Haung il ministro reggente della Corea ( Taewongun ) che ha governato il Paese con caratteristico pugno di ferro di un autocrate in periodi di grave crisi nazionale. Difatti il Taewongun cercò di ostacolare ogni tentativo di penetrazione culturale e politica delle grandi potenze con metodi non molto diversi da quelli adottati oggi, in misura ovviamente più spietata, dal regime nordcoreano. Ci furono frequenti incidenti con i mercanti occidentali che esasperarono l’ostilità dei coreani come gli infami episodi da raid piratesco organizzati dal mercante tedesco Ernst J.Opper nel 1868 e dalla squadra navale statunitense dell’ammiraglio John Rodgers nel 1871 ( siamo essenzialmente nella stessa epoca in cui anche Cina e Giappone stavano ricevendo gli “inviti” con le buone e con le cattive ad aprirsi al mondo ).
La fine dell’indipendenza della Corea coincise con la destituzione del reggente in nome del re Kojong divenuto maggiorenne per governare in prima persona nello stesso anno ( 1873 ) in cui iniziavano i giapponesi ad essere sempre più aggressivi e prepotenti nella penisola dopo più di duecento anni dalle due,non dimenticate,guerre di aggressione. Il governo del re Kojong accetto di far aprire il paese al mondo con il Trattato di Kanghwa nel 1876 con il Giappone ponendo il regno eremita fuori dalla tutela del vecchio ed morente Impero Celeste. I coreani interpretano, ancora oggi, quel generoso atto di apertura come l’inizio invece della tragedia ( l’influenza straniera ) giustificando tuttora l’ideologia della chiusura totale come unica soluzione per difendere l’indipendenza. Gli eventi storici, in seguito a quella data, sono la conferma della stessa convinzione poiché la Corea, progressivamente, ha perduto ogni forma di indipendenza da parte di più potenze straniere, non solo il Giappone, con il risultato di autentiche forme di sfruttamento coloniale in misura ben peggiore che altrove in Asia. Da notare che la culla delle rivolte popolari coreane è sempre stata la regione del Cholla che è una regione a sud della Corea Meridionale e da lì sono partite più volte reazioni sempre più violente ed esasperate allo straniero e dunque anche le basi ideologiche dei movimenti nazionalisti moderni a destra e a sinistra nella Corea attuale. Invece l’aspro territorio settentrionale è stato più volte area di rifugio ed attività di ogni movimento organizzato per la difesa della “coreanità” con il valore aggiunto del, per loro,sacro monte Paektu sede di antichissimi miti e di simboli tanto che l’attuale dinastia Kim ne ha fatto poi luogo di presunta lotta partigiana antigiapponese. Oggi, alla luce degli avvenimenti passati, è forse possibile comprendere il comportamento della Corea del Nord che si autodefinisce “autentica erede” della vecchia Corea utilizzando la sua più antica denominazione di Corea quale Choson in antitesi all’attuale Corea del Sud che ha preso l’espressione più recente Daehan Minguk coniata all’indomani della fine della dominazione giapponese nel 1945. La Corea del Nord sta giustificando la sua politica di terrore poliziesco e di mantenimento dei privilegi della Elite supportante la classe dirigente con l’agitare le angosce di perdita di “coreanità” ed indipendenza dallo straniero. La propaganda nordcoreana è profondamente sciovinista più di quanto lo sia stato in tutte le altre dittature di matrice stalinista a cui il modello vagamente si ispira. Il regime si salda sulle passate esperienze autocratiche che hanno profondamente instillato nella coscienza dei coreani del nord, tagliati fuori dal mondo, i doveri del neoconfucianesmo senza contraddittorio. Non esiste alcuna possibilità di rivolta interna e il mutamento di regime non può essere attualmente possibile se non per azione esterna che non può essere accettata pacificamente appunto in virtù del traumatico passato e men che meno attraverso la guerra. Tuttavia la paranoia generata dall’insicurezza tipica di un clan mafioso ( la forza come mezzo e simbolo di legittimità ) potrebbe trascinare ancora una volta il piccolo popolo ( una ventina di milioni ) della vecchia Choson ad un altro rovinoso conflitto che forse potrebbe davvero chiudere tuttavia la lunga tragica parentesi della nazione coreana che è morta simbolicamente nel 1895 con l’assassinio dell’ultima regina della Corea, Myongsong ,per mano di agenti nipponici.
GABRIELE SUMA