La Bellezza nel pensiero giapponese
“Nel guardare le cose le concepiamo non come sostanza, ma come immagini libere da qualunque senso di spazio. Noi trattiamo le cose, in altre parole, come forme astratte idealizzate senza spazialità.” parole del professore Toyomune Minamoto dell’Università di Kyoto in un convegno tenuto a Tokyo nel 1968.
Il concetto della bellezza, nei termini dell’estetica elaborata dai ceti e gruppi dominanti in Occidente e in Oriente, differiva grandemente prima dell’avvento dell’industria di massa su scala globale. La bellezza era espressa secondo precisi registri e schemi a cui la maggior parte degli artisti si atteneva per assecondare il gusto dei committenti che rappresentavano i gruppi socio-economici al vertice della società in un dato periodo storico. In linee generali la bellezza in Occidente era la somma dei canoni estetici della scultura latino-greca e della morale romano-cristiana. Le forme di bellezza fisica espresse nella pittura occidentale sono storicamente la rielaborazione delle regole della scultura, dunque mirate alla rappresentazione della “tridimensionalità” del corpo. L’estetica occidentale ricerca il riempimento del “vuoto” nello spazio tramite i tratti caratteristici della “massa” fisica dei corpi. Il cardine di base del volume che occupa lo spazio nella prospettiva occidentale diventava successivamente la base della ricerca delle proporzioni in intima connessione con l’evoluzione della scultura. Il legame fra queste forme di arte rimase consolidato fino a quando la cultura, diventando di più ampia portata nella società, determinò di conseguenza il “divorzio” fra pittura e scultura a causa della minore disponibilità economica per opere impegnative in termini di materiali,spazio e tempo. La borghesia impose alla pittura nuovi canoni estetici slegati appunto dalle regole auree della scultura a sua volta destinata a seguire un evoluzione differente. L’Oriente, in particolare il Giappone, ha preso un altra strada di espressione artistica del Bello. La pittura era la più antica e maggiormente elaborata forma d’arte con regole e modalità che escludevano in primis la necessità di massa, proporzioni e della tridimensionalità. L’estetica giapponese del Bello si esprimeva dunque in altre forme alternative quali il tempo, la metafora,il vuoto e il significato simbolico. In questi termini l’Occidente riteneva il Bello come Materia diretta e viva; L’ Oriente giapponese, il Bello “nascosto” dal simbolo. La differenza è più chiara se si intende il concetto della parola come lettera nelle lingue occidentali e come somma di significati dentro la rappresentazione grafica degli ideogrammi nella lingua asiatica. Il termine che i giapponesi usano per rappresentare la generale tendenza alla conoscenza piuttosto che la visualizzazione del Bello è Mono No Aware che significa letteralmente “percezione della caducità” ben intesa negli Haiku che sono le brevi e malinconiche poesie spesso dedicate alla contemplazione della Natura. Aware è ogni cosa che è destinata a trasformarsi nel generale ciclo continuo compreso l’Uomo. Dunque la bellezza trascende la pura forma fisica del corpo che assume transitorietà. La transitorietà è estranea al pensiero occidentale che invece ricerca la Perfezione come il congelamento dell’espressione materiale dell’essere nel tempo e nello spazio. In tal senso il Bello diventa la Gioventù in Occidente mentre il Bello in Asia è lo sfondo apparentemnte vuoto degli scenari naturali. In Occidente il Pastore, in Asia il ruscello che scorre. Infatti in Occidente il vuoto significa una pausa temporanea dell’esistenza materiale mentre in Giappone il vuoto “riempe” ciò che la materia cede continuamente. Il vuoto diventa il tessuto che regge i significati come una ragnatela invisible che sostiene le particelle intrappolate della materia. Dunque la nobile bellezza, nel pensiero artistico giapponese, del Ma. Dunque il Bello inteso come perfezione assoluta è ciò che circonda quello che contempliamo, non il soggetto stesso davanti ai nostri occhi. Nelle opere artistiche giapponesi della tradizione più antica i soggetti sono avvolti da sfondi multicolori o astratti, immersi nell’universo come consapevoli di essere intrappolati dallo sfondo che incombe. Lo sfondo, in occidente, è la cornice che decora ed esalta il contenuto; in Oriente la cornice è sostituita dall’infinito di un universo pieno di vita e in continua trasformazione. L’opera d’arte occidentale ferma il tempo; l’opera orientale “vive” di moto proprio senza un inizio ed una fine. Il “vuoto” significante si lega alla filosofia del Sogno ( Yume ) . Nelle opere artistiche giapponesi la realtà,rappresentata nell’attimo in cui l’artista ha colto “congelandola” nella creazione, si stacca dall’originale “proprietario” che continua ad esistere e questa “realtà”, bloccata nel suo ciclo, assume il tratto di puro sogno poichè i sogni sono l’essenza di percezioni di cose materiali senza avere in sè le proprietà della Materia. In tal senso la bellezza diventa quello che si desidera nell inconscio. La bellezza femminile fino alle più recenti tradizioni artistiche nipponiche diventa l’incarnazione dei desideri mentre l’arte occidentale disegna la bellezza femminile per sviluppare nello spettatore desideri. La donna nell’arte erotica giapponese è “simulacro” dei sogni, un “ologramma” come è ben chiaro nella tendenza giapponese all’attrazione sentimentale per rappresentazioni artificiali che è qualcosa di ben diverso dal “feticismo” occidentale. La bellezza non si “conquista” ma si contempla provando l’orrore esistenziale, nel pensiero nipponico, del contatto fra i corpi.
GABRIELE SUMA