Archive from dicembre, 2012
dic 8, 2012 - Notizie    6 Comments

Il Socialismo di Cuzco

L’Impero Inca si basava per la sua soppravivenza sulla pastorizia e sulla agricoltura. Le condizioni climatiche sulle Ande erano estreme e determinarono un evoluzione sociale particolare che ricorda per certi aspetti una forma di “socialismo” ( detto “primitivo da Marx che ne aveva pure vagamente accennato ). La ristrettezza demografica dovuta all’alta mortalità infantile ( aumentata per scarsità di ossigeno in alte quote ) obbligava la comunità a mettere in comune le attività e la coppia famigliare ( era una società comunque rigidamente monogamica ) era dunque assistita attivamente da parenti di ogni grado. L’assistenza reciproca fra nuclei famigliari diede origine appunto a comunità “collettive” dette Ayllu ( in lingua Quechua ) dal nome dato a coloro che avevano creato queste comunità. Erano il simbolo e punto di riferimento da cui le generazioni successive traevano valori e attitudini comuni. Dai mitici ayllu derivavano la prima coppia mitica detta metà di consaguinei che a loro volta secondo una gradualità rigidamente strutturata si dividevano in duali “scissioni” ( tema caro dei miti antichi la geometrica sequenza di creazione delle comunità ). I nuclei più prestigiosi erano quelli ritenuti più vicini in linea di discendenza ai mitici fondatori e vantavano il loro lignaggio con i corpi mummificati di lontani antenati ( conservati in cimiteri comunitari detti Ilacta ). Il nome di queste scissioni poi era stato dato alla struttura dei quartieri abitativi. La capitale,Cuzco, era infatti divisa in due grandi quartieri detti metà appunto e le famiglie più altolocate erano situate all’interno di sotto-aree dei metà dette Suyu. Le donne conservavano la propria “linea di sangue” ( propria genealogia, quindi non adottavano il cognome del marito ) e dividevano equamente diritti e doveri pari all’uomo in riferimento ai loro miti stessi basati fondamentalmente sulla dualità di ogni aspetto. Gli individui si aiutavano a vicenda in forza dell’obbligo religioso e sociale dell’Mit’a che indicava l’obbligo di corrispondere, della stesso valore ,l’aiuto offerto da un altro. In questo modo numerose attività anche edilizie si realizzavano se tali progetti erano in funzione di tutta la comunità. Le donne ( ma anche gli uomini ) dedicavano molto tempo alla produzione della stoffa non solo in funzione domestica ma anche come “conio monetario” poichè in assenza della moneta si usavano, al suo posto ,appunto i tessuti che assumevano anche grande valore per la conservazione della memoria storica della comunità. Le attività in origine venivano regolamentate affidando ad ogni nucleo famigliare una precisa funzione di utilità sociale che però, a differenza di molte altre società antiche, nom era assolutamente  ereditaria ma piuttosto “a rotazione”. I ruoli sociali venivano presi in grande considerazione sopratutto quelli di carattere religioso e gli esercenti di quel determinato momento, assumevano come simbolo del potere acquisito, “scettri” detti vara. La situazione cambiò radicalmente negli ultimi anni dell’impero quando la gerarchia divenne ereditaria a beneficio di una vera e propria classe costituita da signori denominati Kuraka che in pratica assumevano ruolo di intermediari fra gli dei e i fedeli. I Kuraka pur essendo dei privilegiati erano comunque tenuti a rispettare l’usanza met’a sotto forma di doni generosi per la comunità nelle feste religiose. I Kuraka si occupavano anche di effettuare censimenti e registrare i sudditi sottoposti a precisi programmi fiscali ( basati, in assenza di moneta ,su beni in natura,utili per la capitale ). Il Mais era un bene fondamentale e veniva raccolto tramite i tributi e conservato poi in grandi depositi dalle varie forme detti qollqa assolutamente essenziali per affrontare periodi di siccità. Il differente aspetto dei contenitori corrispondeva ad un differente tipo di merce conservata: tondi per il mais e quadrati per le patare. Gli Inca estendevano il dominio e lo conservavano inoltre con lo stabilire un efficiente sistema di vie di comunicazione sottoposta alle cura delle comunità locali e persorso continuamente da messageri appiedati ( non c’erano cavalli ).  La produzione agricola era la maggiore attività industriale e impegnava gran parte della popolazione e l risorse da tutto l’Impero. L’importanza era ancora più accentuata per la scarsità di terreni coltivabili e per complesse tecniche di irrigazione che determinavano l’accrescere dell’influenza di tecnici specializzati con propri privilegi e onori. Altre forme di industria erano ritenute meno prestigiose per i cittadini inca ma l’impero utilizzò molto artigiani,scultori e fabbri fra i prigionieri di guerra per mansioni non ritenute onorevoli dalla popolazione dominatrice. L’ideologia del Mit’a permetteva buone condizioni di vita a questi “schiavi” che potevano ottenere,in cambio delle loro attività, il pari valore e dunque cibo,vestiario e comodità. La gerarchia però si stabiliva in modo chiaro durante le feste quando era rigidamente stabilita la posizione dei posti nel rito e la distribuzione della birra e anche precisi codici di linguaggio a seconda del proprio grado sociale. La birra veniva servita in recipienti che avevano forme diverse: dalle semplici ciotole di semplici lavoratori a coppe preziose della classe dirigente imperiale. I recipienti usati nelle feste poi continuavano ad indicare il prestigio quando essi venivano lasciati nelle tombe insieme ad altri oggetti appartenenti al defunto.

A parte queste forme di riverenza la società inca incoraggiava la messa in comune degli spazi privati delle abitazioni evitando eccesso di promiscuità tipica dei quartieri popolari dell’occidente europeo con benefici dal punto di vista igienico. Infatti non esistevano forme verticali di raggruppamento abitativo con tutti i rischi di crolli e incendi ma piuttosto le case di famiglia erano riunite in un area delimitata da un muro in pietra e il complesso abitativo era chiamato Kancha. Ogni gruppo di case ( costituite spesso da un unica stanza spaziosa ) si aprivano su un cortile che a sua volta,delimitato da mura,si apriva sulla strada cittadina.

Gli Inca consideravano la propria capitale l’origine dell’universo e tale concetto era sottolineato dalla grande piazza centrale usata per riti sacri detta Huacaypata da cui si diramavano quattro grandi strade che simboleggiavano l’estensione dell’universo. Al centro della piazza vi era l’Unsu costituito da una colonna per osservazioni astronomiche e dal Trono per l’Imperatore considerato alta figura sacra e il più alto intermediario con il cosmo. La birra veniva distribuita da un deposito sacro alla base del complesso per le grandi festività. Dal centro sacro si stabilivano, tramite linee dette ceques, i confini dei quartieri e anche aree non urbanizzate con funzione di determinare cicli produttivi e usufrutto delle risorse secondo precisi criteri religiosi. In questo modo si garantiva la continuità razionale della divisione del lavoro a tutta la società Inca. La distribuzione delle linee divideva in due la città in parte alta e in parte bassa e le due parti vivevano autonomamente e nello stesso tempo insieme ,aiutati dai criteri sacri del Centro della città ,che alla fin fine era davvero una sorta di “città santa” dell’Impero. L’intera città considerava la risorsa più sacra i fiumi sotterranei sotto la città.Nel punto di confluenza era stato eretto il tempio di Coricancha che aveva funzione anche di pantheon per raccogliere le divinità dei popoli sottomessi e vetrina del maestoso potere del popolo Inca. Un aspetto particolare della città è che essa,secondo alcune teorie, dovrebbe rappresentare un puma ( animale sacro agli Inca ) visto dall’alto secondo la distribuzione dei quartieri come è stato appurato dagli studi sul complesso di Sacsahuaman  risultante essere un complesso religioso con funzione di ospitare solo la Corte Imperiale e l’arsenale militare e gli strumenti dei riti religiosi di carattere nazionale.

La società Inca decadde con la conquista spagnola, ma ancora oggi la lingua è tuttora parlata e ancora oggi si tramandano le antiche glorie in tessuti pregiati noti anche per i colori prodotti esclusivamente in loco e in pieno rispetto della tradizione Mit’a fra i discedenti che siano meticci o isolati nelle inospitali lande andine. Si può disruggere un impero,una nazione,una civiltà fino alle sue fondamenta ma finchè la lingua è parlata la fine è solo rimandata o perfino sospesa. Dovremmo considerare ciò quando si ritiene che le lingue nazionali sembrano essere destinate a scomparire in un futuro non troppo lontano.

Gabriele Suma

dic 1, 2012 - Notizie    1 Comment

Il Corpo dei Giannizzeri

I giannizzeri erano l’elite dell’esercito imperiale ottomano. Essi erano un corpo permanente ancora prima che gli eserciti permanenti divenissero una realtà comune in Europa. Le truppe erano pagate e venivano pensionate a 45 anni. Il servizio non consentiva il matrimonio ed erano proibiti svaghi di ogni genere. L’arma principale consisteva nel moschetto e nell’arco. A differenza di altri eserciti dell’epoca i giannizeri non usavano le picche ma erano accettate nella dotazione ordinaria alabarde ed asce. La forza era strutturata in tre divisioni a loro volta costituite di 196 compagnie. Ogni compagnia era formata da un numero di combattenti che variava molto a seconda delle circostanze ma in media comprendeva 500 uomini. Le compagnie erano denominate Orta e ogni compagnia veniva guidata dal Corbac corrispondente al grado di colonnello. Il corbac era assistito da 6 ufficiali mentre la caserma era gestita dall’Odabasi ( grado tenente ) e il commissario per la logistica era l’Ascibasi ( letteralmente “cuoco” ). L’Ascibasi era anche esecutore di pene disciplinari e boia stesso. Al di sopra dei corbac vi era il comandante generale del Corpo dei Giannizzeri denominato Agha. Il comandante inviava ordini al generale di divisione denominato Kul Kahya. Esisteva una sorta di “accademia” curata dal Segretario del Corpo denominato Yeniceri Katip che svolgeva le attività di istruzione ed addestramento a livello organizzativo generale di 34 compagnie di riserva. Una figura prestigiosa e rispettata era l’Atescibasi ( letteralmente capo cuoco ) che assumeva la funzione di Cancelliere e Furiere.

Il vessillo del Corpo aveva colori gialli e rossi con il Zulfikar ( un immagine di una scimitarra adornata ) al centro ma quando c’era il Sultano al comando veniva anche usato lo Stendardo del Profeta di colore verde ( oppure nero ). Le compagnie alla loro volta presentavano simboli propri alla sommità dei vessilli come cammello,elefante,leone,falco. Oltre ad animali anche strumenti come ancora,arco e chiavi. L’Agha aveva un proprio portastendardo che recava su un asta con una sfera dorata e code di cavallo: un antica reminiscenza delle radici nomadi dei turchi.

Le caserme erano dei veri e propri “monasteri” per dimensioni e rigore delle condizioni di servizio, un’ eccezione rispetto alla tendenza diffusa nel resto di europa di alloggiare gli eserciti nei quartieri urbani. Inoltre le caserme erano provviste di propria moschea e anche di vere e proprie fabbriche per oggetti di uso quotidiano espressamente per i giannizzeri. Precisi canali di approvvigionamento fornivano generi alimentari quali carne e biscotti.

L’esercito ottomano era definito come Ordu che indicava anche l’accampamento,organizzato,  quasi come un accampamento romano. Vi era appunto un centro con la  grande Tenda del Sultano e da lì si irradiava geometricamente un sistema di vie. Ogni settore era fornito di tutti i servizi necessari, dalla tenda per abluzioni rituali alla latrina.  I giannizzeri marciavano in ordine e spesso erano accompagnati da gruppi di cavalleria tartara che si occupava di rifornimenti sul posto,preda bellica e sorveglianza delle salmerie. I giannizzeri non ebbero mai reparti di cavalleria e i cavalli erano uso esclusivo dei comandanti.

Le manovre sul campo venivano organizzate tramite grandi tamburi e cimbali che avevano anche funzione di terrorizzare il nemico con suoni cupi, ritmici e minacciosi. I tamburi erano anche usati per ordinare l’installazione o lo smantellamento dell’accampamento che veniva eseguito velocemente ma in modo sempre organizzato. I cammelli erano molto usati per il trasporto di munizioni e inoltre si organizzavano lunghissime linee di carriaggi per il grano mentre i cannoni venivano faticosamente sospinti da bufali o buoi. Erano al seguito anche agnelli e oche per l’alimentazione a base di carne.

I giannizzeri al di fuori delle campagne e della rigorosa disciplina, venivano anche allietati da spettacoli eseguiti con fantocci organizzati da unità detta Meydan Orta presenti in ogni compagnia. La prostituzione era severamente punita e dunque c’era l’usanza che un certo numero di cadetti ( maschi ) di particolare bellezza eseguivano i  compiti delle prostitute ( in pratica una sorta di omosesualità tollerata in caserma e i “femminielli” erano definiti Acemioglans ). I prostituti però erano anche agenti della polizia militare ed eseguivano compiti di pattuglia notturna in aree urbane ed erano particolarmente detestati dalla società. I giannizzeri in generale intervenivano nelle attività di mercato sulle piazze per contrastare truffe e raggiri e sorvegliavano le prigioni e fortezze. Le fortezze avevano una guarnigione solitamente di 50 giannizeri assistiti da una trentina di ausiliari ed  erano il principale strumento per i governatori locali per reprimere le rivolte in loco. Tuttavia i giannizzeri erano anche essi particolarmente riottosi se non venivano pagati e solitamente tendevano a bruciare quartieri o persino città e gli ammutinamenti erano la norma dal ’600 in poi.

I giannizzeri erano anche impiegati a difesa delle basi marittime nel quartiere di Galata a nord di Istanbul e a Gallipoli.Essi venivano anche impiegati sulle navi e partecipavano attivamente nelle battaglie navali come a Lepanto nel 1571.

Il corpo verrà sciolto definitivamente nel 1826 da Mahmud II dopo una lunga epoca di decadenza del corpo stesso che dal ’600 in poi assunse sempre più privilegi di guardia pretoriana  sfruttando i frequenti deboli sultani ,spesso anche deboli di mente per i lunghi periodi di isolamento in una torre dove venivano costretti da altri sultani che li avevano rovesciati. Una decadenza che insegna come gli imperi vanno in rovina quando il potere militare finisce per prevaricare le istituzioni,al venir meno di opportunità di guerre e conquiste. Inoltre gli imperi sono inevitabilmente condannati al declino perchè il dominio lo si conquista con le armi e lo si mantiene con le armi e delle armi così si finisce per non farne più a meno divenute esse stesse simbolo e cardine dell’impero edificato.

GABRIELE SUMA